Storia della micologia
L'antichità è avarissima di notizie sui funghi e queste poche sono quasi sempre false credenze e superstizioni, evidentemente favorite dalla natura stessa del fungo
(la sua origine sconosciuta, l'improvviso suo apparire e la brevità della sua vita, il suo rapido corrompersi come la carne degli animali, la sua velenosità ecc.).
Insomma era considerato qualcosa di diabolico e si può supporre con fondamento che ne facessero uso stregoni e avvelenatori di professione. Le sintomatologie
descrittive della morte di antichi personaggi fanno effettivamente pensare ad avvelenamenti da Amanita phalloides.
Il greco TEOFRASTO (370-287 a.C), nativo dell'isola di Lesbo e discepolo di Aristotele, è considerato il padre della botanica e a lui risalgono in assoluto le
prime definizioni riguardo ai funghi, considerati "piante imperfette, prive di radici, di foglie, di fiori e di frutti". Ne presenta quattro tipi: i funghi
sotterranei (Tuberacee), i funghi terricoli a cappello e gambo (mykés), i funghi sessili e a forma cava (Pezize?) e i funghi a forma rotonda (Licoperdacee).
Con Pedacio DIOSCORIDE entriamo nell'era dopo Cristo. Nato in Cilicia (Asia minore), fu medico militare e civile sotto gli imperatori Claudio e Nerone e ci ha
lasciato un trattato in cinque libri "Della materia medica". Ha lasciato detto qualcosa sulle proprietà tossiche dei funghi ed anche sulla terapia degli
avvelenamenti (decotti di erbe, pozioni di aceto e sale, sterco di pollo con miele e aceto…). A lui risale la prima descrizione dell'Agaricum, ossia del Fomes
officinalis, molto utilizzato come farmaco nell'antichità, e ne indica le proprietà e l'impiego.
Altro medico greco, di Pergamo, e operante a Roma al tempo di Marco Aurelio fu Claudio GALENO (129-200 d.C), che individua tre generi di funghi: gli Ovoli, i
Porcini e i Mykés (gli altri funghi a cappello e gambo, sono ritenuti per lo più tossici). Giudica i funghi non nutrienti, indigesti e pericolosi. Descrive la
sintomatologia delle intossicazioni e conferma la terapia con … lo sterco di pollo.
PLINIO IL VECCHIO (23-79 d.C), nativo di Como, fu ammiraglio della flotta romana e mori vittima dell'eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei ed Ercolano,
essendosi avvicinato troppo con la sua nave alla spiaggia per verificare personalmente il fenomeno. Ma la sua più grande passione furono le scienze naturali e ci ha
lasciato una "Historia naturalis" in 37 libri, la quintessenza del sapere naturalistico del tempo, a cui hanno attinto a piene mani tutti i naturalisti fino al
secolo XVIII.
Egli sconsiglia l'uso dei Boleti (per gli antichi Romani erano gli Ovoli) facilmente scambiabili con specie velenose ed individua in maniera chiara il fungo che noi
ora chiamiamo Amanita muscaria, insieme con l'esatta nozione dell'origine delle verruche, che "altro non sono che i residui del velo". Secondo Plinio questi funghi
possono diventare velenosi se nascono:
- in vicinanza di chiodi da scarpa, ferri arrugginiti e panni fradici:
- nelle vicinanze di qualche tana di serpente, perché la loro natura è di assorbire qualunque tipo di sostanza velenosa.
Quanto questi pregiudizi hanno fatto presa nella fantasia popolare fino ai nostri giorni!
Plinio descrive però esattamente lo sviluppo degli ovoli ed è il primo ad usare il termine "volva" nel suo significato micologico.
"La loro origine, dice Plinio, va ricercata nel limo della terra umida e nei suoi umori, che incominciano a fermentare, oppure nelle radici delle piante cupulifere"
: se è vero che tale descrizione influenzò per secoli le opinioni dei naturalisti che continuarono a considerare i funghi come prodotti della fermentazione del
terreno o escrescenze degli alberi, è anche vero che traspare da essa una qualche intuizione del fenomeno del saprofitismo e della simbiosi micorrizica. Dobbiamo a
Plinio l'individuazione, ovviamente con altro nome, della Fistulina hepatica e della Macroepiota procera. Egli parla molto dei Suilli (odierne Boletacee),
considerandoli "molto inclini al veleno". Molto dipende, secondo il Nostro, dalle piante presso le quali i funghi crescono: innocui quelli sotto conifera, fico e
ferula, tossici invece sotto faggi, querce e cipressi (come non pensare all'Amanita phalloides, inesistente sotto conifera ma tipica delle latifoglie, o all'ottimo
Pleurotus eryngii var. ferulae?). Tenuto conto che i funghi sono così pericolosi, Plinio ne sconsiglia l'uso; però offre consigli, peraltro ingenui per noi moderni,
a chi proprio li vuol mangiare (uso di vasellame d'argento o ambra, lunga cottura, molto aceto ecc.).
Plinio si cimenta anche a parlare dei Tartufi, che nascono in autunno specialmente dopo temporali accompagnati da tuoni e fulmini e racconta di un pretore romano
che a Cartagine si ruppe i denti addentando un tartufo che aveva conglobato una moneta (si trattava con ogni probabilità della Terfezia leonis, tartufo
conosciutissimo fin dall'antichità). Anch'egli descrive infine il Fomes officinalis, anche se in maniera imprecisa, basata su informazioni difettose.
Nel Medioevo, periodo che per convenzione va dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.) alla scoperta dell'America (1492), la cultura e la scienza,
contrariamente al luogo comune che lo considera periodo di oscurantismo, ebbero un notevole sviluppo, anche se limitato ai conventi (veri salvatori della cultura
classica attraverso l'opera degli amanuensi) e all'area del mondo arabo. Un forte slancio della cultura, che prelude alla splendida epoca del Rinascimento, si ebbe
dopo il Mille, con la nascita dei Comuni, delle lingue nazionali e delle Università.
Sul fronte delle scienze naturali possiamo ricordare il celebre medico arabo Avicenna ed il teologo e filosofo tedesco S. Alberto Magno (sec. XIII). Per quanto
riguarda i funghi abbiamo però un silenzio pressoché totale. Una notizia sporadica ma interessante ci viene da Alberto Magno che nel suo libro "Sui vegetali"
nomina per la prima volta l'Amanita muscaria ed accenna al suo uso come moschicida presso le popolazioni nordiche.
Il Rinascimento (dalla fine del XIV alla fine del XVI secolo), grazie alle mutate condizioni socioeconomiche ed all'invenzione della stampa, riscopre e divulga le
antiche opere letterarie, filosofiche e artistiche e apre una nuova era anche per la botanica, elevata alla dignità di scienza: vengono tradotte opere dal greco al
latino, vengono commentate ed arricchite, vengono stampati splendidi "Herbarii".
ERMOLAO BARBARO (1454 – 1492), patrizio ed uomo politico veneziano, commentatore di Plinio, traduttore e commentatore di Dioscoride. Dal commento a Dioscoride
veniamo a sapere che i Greci consideravano i funghi "cibo degli dei" o addirittura "figli degli dei", in quanto sembra che essi nascano senza concorso di seme.
B. parla di alcuni generi di funghi, i cui nomi corrispondono abbastanza ai nostri odierni; ad es. "vi sono poi i funghi Aegiritae, che si possono coltivare sui
tronchi stessi del pioppo, bagnandoli con fermento e con acqua". Ci fa conoscere il Lapis lyncurius o pietra della lince o pietra fungaia: seguendo le opinioni
popolari del tempo, B. riteneva nascesse da una pietra creduta orina di lince fossilizzata. Questo fungo nelle epoche successive ecciterà al massimo la fantasia dei
naturalisti facendo scorrere fiumi di inchiostro. Si tratta in realtà del Polyporus tuberaster, che forma degli sclerozi bulbosi sotterranei che possono pesare
anche diversi chilogrammi ed hanno l'aspetto di un sasso. Originale è anche la notizia riguardante gli Ignarii, cioè i Polipori "da esca"; si tratta del Fomes
fomentarius, utilizzato nei secoli passati per conservare il fuoco e per produrre una massa cotonosa ad azione emostatica.
PIER ANDREA MATTIOLI (1500 – 1577), senese di nascita, laureato in medicina all'università di Padova e stabilitosi per esercitare l'arte medica a Trento, nel cui
duomo è sepolto. La sua fama è legata ai Commentarii della materia medica di Pedacio Dioscoride, opera stampata a Venezia nel 1554, dotata di splendide tavole, vero
best seller (60 edizioni in duecento anni) e guida insostituibile per medici, farmacisti e naturalisti.
La sua è un'opera eclettica (medicina, farmacologia, zoologia, mineralogia, soprattutto botanica) ed i funghi sono trattati in alcuni capitoli.
Egli ci parla dei Prignoli, per noi prugnolo o Calocybe gambosa, molto diffusi in Toscana, "odorosissimi, gradevolissimi al gusto e senza pericolo".
Per quanto riguarda i Porcini, basandosi sulla credenza popolare già risalente a Plinio, ritiene velenosi quelli a carne virante; la popolarità e l'autorità del
M. contribuirono come sappiamo ad accreditare per secoli questa falsa convinzione relativa ai boleti a carne cangiante. Interessante è un passo del M. relativo ad
un fungo, oggi individuato come Laetiporus sulphureus, che cresce sulle montagne della Val di Non, "così grande da pesare 25-30 libbre, di colore rosso acceso,
frastagliato".
Un altro suo "autorevole errore" – che dimostra come la vecchia superstizione sulle cause della tossicità dei funghi fosse ancora incredibilmente radicata anche
presso gli scienziati più qualificati del Rinascimento e che ha purtroppo accreditato tale falsa credenza fin quasi ai nostri giorni -riguarda i funghi lignicoli,
ritenuti dal M. tutti innocui (ma pensiamo al tossico Omphalotus olearius!)perché crescendo sugli alberi "non vi è pericolo che nascano su ferro, né su panno
fradicio, né su serpente morto o altro animale velenoso".
Sul fronte della terapia degli avvelenamenti non andiamo certo meglio: provocare il vomito con ogni mezzo, somministrare un decotto di origano e satureia, di sterco
di pollo impastato con aceto e miele, di succo di ruta, di teriaca e mitridato…
Un capitolo è dedicato ai tartufi, dalla scorza ruvida e nera ma dalla polpa a volte bianca a volte nera, "cavati in abbondanza dai nostri contadini, essendo molto
apprezzati dalle persone facoltose". Ne descrive anche alcuni che "oltre ad essere piccoli, hanno la scorza liscia e pallida, ma sono scipiti e poco gradevoli al
gusto": probabilmente i Rhizopogon o gli Elaphomyces.
PIER ANDREA CESALPINO (1525 – 1603), aretino, professore all'università di Pisa e prefetto di quel celebre Orto Botanico, medico del papa Clemente VIII e di uomini
celebri come S. Filippo Neri e Torquato Tasso, scopritore della circolazione sanguigna e dei capillari sanguigni.
Scrisse un'opera specificamente botanica: De plantis libri XVI (Firenze 1583), in cui descrive nuove piante e tenta una classificazione dei vegetali, dividendoli in
15 classi ed anticipando così di due secoli i lavori di Tournefort e di Linneo: per questo lo si può considerare il Padre della botanicaitaliana.
E' il primo botanico che indugia a parlare specificamente di funghi, risentendo ovviamente degli errori comuni ai suoi tempi. I funghi sono ancora considerati
vegetali "privi di frutto e di seme" costituiti di una qualche "materia incomposta".
La sua classificazione non è fatta per generi e specie (concetti introdotti solo quasi due secoli dopo da Linneo), ma solo per gruppi, esattamente 18, alcuni dei
quali meritano qui una telegrafica citazione (fra parentesi il nome moderno corrispondente):
Tuber (Tuber), a corteccia nera, di Norcia, o a corteccia bianca.
Pezicae (Lycoperdon) o Vesce, commestibili, bianche, grosse anche come la testa di un uomo.
Boleti (Amanita) a forma di uovo quando sono nella terra.
Suilli (Boletus). nascono tra le eriche e le felci, a carne bianca. Sono malefici quelli con la carne che diventa livida o con la parte concava (per noi imenio)
giallastra o verdognola.
Lapis lyncurius (Polyporus tuberaster).
Prateoli (Agaricus), nascono nei prati, poco valore come cibo e non esenti da pericolo.
Prateolis similes, iuxta stercora (Coprinus), simili ai precedenti, nascenti presso letame, velenosi.
Famigliole (Armillariella mellea), riuniti a cespo per mezzo di lunghi gambi, presso i cespugli, poco raffinati come gusto.
Scarogie o Cannelle (Macrolepiota procera), poco carnoso, con anello, lungo gambo che sembra sostenere un'ombrella.
Gallinacei (Cantharellus) color zafferano, a forma di ventaglio. "I villici li mangiano senza pericolo".
Fuoco silvestre (Clathrus cancellatus), novità descritta dal C.
Linguae (Fistulina hepatica) sulle ceppaie di castagno, di colore sanguigno dentro e fuori, eccellenti ed innocui. Novità descritta dal C.
Digitelli o Manine (Clavaria).
Igniarii (Fomes fomentarius) detti volgarmente "esca", usati per conservare il fuoco ottenuto con la pietra focaia, nascono sulle ceppaie, a forma di zoccolo di
cavallo. Con la loro parte inferiore, scabrosa, si usano nelle barbierie come spazzole.
L'aspetto più interessante dell'opera del Cesalpino è che fra le specie ed i gruppi da lui descritti sono pochi quelli che lasciano dubbi sulla loro interpretazione.
Inoltre egli "indovinò" la commestibilità di alcuni funghi (Lycoperdon, Armillariella mellea, Macrolepiota procera, Cantharellus cibarius) che altri micologi più
tardi avrebbero definito, sbagliando, tossici.
Concludendo, egli fu il primo botanico a dare una certa completezza alla trattazione micologica e come tale fu riconosciuto dagli autori posteriori.
LEONE L'AFRICANO , nome latinizzato di Al-Hasan Ibn Muhammad, arabo spagnolo dalla vita avventurosa, finito alla corte di Papa Leone X, il grande mecenate del
Rinascimento. Siamo nell'epoca delle grandi scoperte geografiche e, sollecitato dal Papa, Leone l'Africano scrive una Descrittione dell 'Affrica et delle cose
notabili che qui sono, dove per la prima volta troviamo una chiara descrizione ed interessanti notizie sulla Terfezia leonis, una tuberacea molto comune nelle
zone del bacino mediterraneo.
ULISSE ALDROVANDI (Bologna, 1522 – 1605), fu docente all'Ateneo bolognese e passò tutta la sua lunga vita in studi, viaggi e ricerche di ogni genere nel campo
delle scienze naturali. Scrisse una Storia naturale in 15 libri, di cui solo quattro pubblicati lui vivente. Di questi, uno solo, Dendrologia (storia naturale
degli alberi), interessa la botanica ed una breve trattazione riguarda i funghi arboricoli. Vengono prese in considerazione 25 specie di funghi arboricoli, ma con
illustrazioni e descrizioni piuttosto scadenti. Secondo il Fries, all'Aldrovandi spetta comunque la priorità nell'avere individuato e raffigurato in modo chiaro
tre specie: Trametes cynnabarina , Ganoderma lucidum e Sarcoscvpha coccinea.
HADRIANUS JUNIUS (1512 – 1575), medico e naturalista olandese ci ha lasciato una dissertazione sul Phallus impudicus (chiamato dopo di lui Phallus hadriani), in
assoluto la prima monografia micologica apparsa in Europa.
ALFONSO CICCARELLI medico umbro morto nel 1580, con il suo Opusculum de tuberibus, ha invece stabilito il primato di prima monografia micologica stampata in Italia.
In 19 capitoli redatti in elegante latino affronta e discute quasi tutti gli aspetti di questi interessanti prodotti della terra, così di casa nella sua regione.
MARCO AURELIO SEVERINO nacque a Tarsia (CS) il 2 novembre 1580 . All'epoca di Marco Aurelio Severino, molti ricercatori e studiosi interessarono all'argomento della
"pietra fungaia" specialmente dell'Italia Meridionale, sulle cui montagne era più frequente trovarla. Molti naturalisti italiani avevano espresso la loro opinione
sulla strana, dura, compatta produzione, che, sepolta in poca terra e regolarmente innaffiata era capace di produrre, per un tempo più o meno lungo, un'abbondante
messe di carpofori commestibili. Le spiegazioni di tale fenomeno erano state, fino al tempo del Severino, varie, incerte se non addirittura fantastiche; si credeva,
ad esempio, che la pietra fungaia, detta anche "pietra l'incuria" fosse urina di lince fossilizzata e che, partecipando della natura animale e di quella minerale,
avesse la facoltà di dare origine a produzioni vegetali, o al limite del Regno vegetale, quale appunto venivano consederati i funghi. Lo studioso calabrese
nell'affrontare l'argomento, prese in esame con minuziosa ricerca, scritti e pareri di numerosi naturalisti e studiosi di più discipline, da Caio Plinio Secondo
ad Ermolao Barbaro, Andrea Cesalpino, Pietro Andrea Mattioli, Ferrante Imperato; dal celebre fiammingo Carolus Clusius a Gerolamo Cardano a Giulio Cesare Scaligero,
suffragando la razionale ricerca, (degno seguace della Nuova Scuola Sperimentale), con analisi chimiche possibili in quell'epoca. Severino era convinto che le
"pietre fungaie" non fossero pietre vere e proprie, ma formazioni fungine sotterranee, nè più nè meno come i tartufi, capaci di generare funghi, così come credeva
Ferrante Imperato che le chiamava 'Tartufi fongarii". Era convinto che la "pietra fungaia", partecipando della natura dei tartufi, fosse un vegetale, anzi una
spugna vegetale fossilizzata, capace d'impregnarsi di una grande quantità d'acqua e diventare matrice di funghi. La validità della sua tesi fu confermata dai
risultati dell'analisi chimica condotta sui campioni di "pietra fungaia" assieme ad altri ricercatori, e dimostrò come questa non potesse assolutamente essere
considerata pietra in quanto la distillazione secca del materiale non aveva dato altro che "acqua fatua", "oleum guaiacinum", cenere e carbone. Oggi si può dire,
anche se le conclusioni dello scienziato calabrese non arrivarono perfettamente alla determinazione dello sclerozio di Polyporus tuberaster, che il metodo di
ricerca e studio da lui adottato riflette una convenzione nuova ed efficace nell'indagare la Natura e i suoi fenomeni.
GIOVANNI BATTISTA PORTA (1540-1615), scienziato di mente aperta, si dedicò alle più svariate branche del sapere, scrivendo numerose opere. Di funghi ci parla nel
cap. 70, libro X della Villa (1592), sia riportando quanto detto dagli antichi, sia con sue proprie osservazioni e un tentativo di classificazione. Descrive per la
prima volta nella botanica italiana alcune specie come le Spongiole, le Monacelle (Elvelle), la Peperella (Lactarius piperatus), il Richione (Pleurotus eryngii).
Grande merito del Porta è quello di avere per primo esplicitamente affermato, quasi due secoli prima che P.A. Micheli ne desse una dimostrazione sperimentale, la
probabilità che i funghi si riproducano per seme; questo nell'opera Phytognomoniìca del 1588.
FABIO COLONNA (1567 – 1650), napoletano e accademico dei Lincei, autore di numerose opere botaniche ed originale per l'impulso dato alla sistematica botanica.
Nel suo libro Ekphrasis (1606) presenta solo 6 specie fùngine, ma con chiarezza descrittiva ed evidenza dei disegni mai viste prima: il Cardoncello (Pleurotus
eryngii), le Pezicae Plinii, il Pleurotus ostreatus, la Macrolepiota procera ed il Clathrus cancellatus.
Fino al Seicento gli scienziati non si erano preoccupati di indagare su come si riproducono i funghi, anche se avevano intuito trattarsi di vegetali del tutto
particolari, ed avevano riposato tranquilli sulle teorie di Aristotele. L'autorità di questo insigne filosofo, il più grande dell'antichità, era riconosciuta anche
nelle questioni scientifiche e nessuno aveva mai osato contestarne le affermazioni. Pertanto, come egli aveva sostenuto, era opinione diffusa che i funghi
nascessero per generazione spontanea, senza seme. Nel Seicento nascono i primi dubbi su questa teoria, si discute, si polemizza, si fanno nuove proposte e scoperte
(ma la certezza sulla riproduzione per spore arriverà, dopo le intuizioni del Micheli, solo nell'Ottocento con Pasteur).
Alcuni sostenevano la riproduzione "per frustuli", o frammenti, basata sull'esperienza dell'inserimento di frammenti di fungo nella lettiera di letame equino, utili
zzata nei vecchi metodi di coltivazione artificiale dei Prataioli. Fra questi anche il celebre MARCELLO MALPIGHI (1628 – 1694), il quale però, assieme a notevoli
osservazioni sui funghi microscopici, avanza anche l'ipotesi che i funghi possano essere provvisti di semi. La "voglia" di trovare i semi dei funghi fece prendere
anche qualche abbaglio; ad esempio il tedesco Christian MENTZEL scambia per semi i peridioli, quelle piccolissime "uova" contenute nel Cyathus striatus. Secondo
Paolo Silvio BOCCONE invece i semi ci sono, sono minutissimi e si trovano dispersi negli umori vischiosi del fungo.
I fautori della generazione spontanea in sostanza si rifacevano a Plinio, che vedeva nei funghi il risultato di una fermentazione dei succhi della terra o della
linfa degli alberi; fenomeno che poteva verificarsi sia su piante morte o malate, sia su piante viventi e sane, ma destinate alla morte.
Va detto che questi personaggi, pur sostenendo opinioni per noi moderni assurde, erano, in rapporto allo stato delle conoscenze di quel tempo, degli attentissimi
studiosi che sostenevano le loro idee sulla base di continue ed acute esperienze.
FERDINANDO MARSIGLI (1658 – 1730), uomo d'arme e scienziato, pubblica nel 1714 una Dissertatio de generazione fungorum, interessante per l'acutezza che dimostra
nell'attento esame della parte radicale e sotterranea del carpoforo, nel disegnare le sezioni del substrato, nella descrizione e riproduzione delle ife e del loro
intreccio ad ingrandimento microscopico: un lavoro di impostazione sperimentale notevole.
Il progresso nello studio dei funghi, rispetto a quello della botanica vera e propria, era comunque molto modesto, essendo questo settore naturalistico considerato
trascurabile. L'interesse per i funghi si ravviva tuttavia tra Sei e Settecento ad opera di alcuni studiosi europei.
JOSEPH PITTON DE TOURNEFORT (1656 – 1708), di Aix en Provence, uno dei più grandi botanici di tutti i tempi, direttore dell'Orto botanico di Parigi, si può
considerare precursore di Linneo nel tentativo di creare un sistema di classificazione delle piante, che egli basò su un unico carattere, quello del fiore.
Si occupa di funghi soprattutto nel trattato Istitutiones rei herbariae (1700), considerato il caposaldo della botanica prima di Linneo.
Secondo l'Autore i funghi rientrano, con i muschi, nella classe delle "Erbe e suffrutici sprovvisti di fiore e seme" e vengono suddivisi in 7 gruppi, che possono
essere considerati come Generi: Fungus
(con cappello e gambo, con lamelle o tubuli, grosso modo il nostro Ordine Agaricales); Fungoides (forma incavata o ad imbuto); Boletus (con alveoli o finestre, per
noi le Morchellacee, Clathracee ecc); Agaricus (quelli che nascono sui tronchi degli alberi); Lycoperdon (funghi che a maturità si dissolvono in polvere,
prevalentemente Gasteromiceti); Coralloides (Ramarie) e Tuber (ipogei). Interessante notare che in una relazione sulla coltivazione artificiale dell' Agaricus
campestris o bisporus, De Tournefort si dichiara convinto che almeno questi funghi si riproducano mediante propri semi e non per semplice virtù del letame equino.
JOHANN JAKOB DILLEN (DILLENIUS) (1687 – 1747), famoso soprattutto come studioso di piante crittogame, si occupò in gioventù anche di funghi (Cathalogus plantarum
circa Gissam nascentium del 1719) descrivendo in tutto 160 specie e contribuendo notevolmente alla micologia dal punto di vista sistematico.
Egli suddivide i funghi in due classi: con cappello e gambo, senza cappello.
Nella prima classe pone: a) lamellati (genere Amanita), b) aculeati (Erinaceus), scrobiculati (Morchella), porosi (Boletus).
Nella seconda classe: a) con gambo (Fungoides), b) sprovvisti di gambo.
Questi a loro volta sono a forma piana (Agaricus, lamellati, porosi, villosi, lisci ecc.) o a forma concava: membranacei (Peziza) o pieni (Bovista e Tuber).
Come si vede, si tratta di una classificazione indovinata, ordinata e metodica, che fu infatti preferita da Linneo.
PIER ANTONIO MICHELI (Firenze, 1679 – 1753) Con Micheli possiamo dire di trovarci di fronte al fondatore della moderna micologia, almeno come autore di alcune
fondamentali scoperte micologiche.
Cenni biografici
La passione per la botanica nacque nel M. dalla lettura delle opere del Mattioli e del Boccone, fatta mentre era apprendista rilegatore di libri; una passione
irrobustita poi dalla frequentazione dei frati di Vallombrosa e dei loro boschi sparsi nella montagna toscana e che lo portò, non ancora ventenne, ad avere un suo
ricchissimo erbario e ad intrattenere rapporti e scambi con gli scienziati europei. A 27 anni diviene botanico di corte del Granduca Cosimo III, con una rendita
annua e con il compito principale di procurare piante per i Giardini botanici della Toscana, cosa che fece con numerosi disagiati viaggi in tutta Italia.
Dopo un avventuroso viaggio in Germania, (dove era stato mandato dal Granduca a fare spionaggio industriale sulla fabbricazione della latta!), gli fu donata l'opera
di De Tournefort e si applicò specificamente allo studio delle piante crittogamiche, ritenute allora "piante senza seme". Ma M. non era convinto che potessero
esistere piante senza seme e quindi si dedicò ad osservazioni minute aiutandosi con lenti di ingrandimento e col microscopio. Studiò le crittogame in genere, in
particolare le briofite (muschi), ma soprattutto i funghi e le polveri sporali, sospettando subito si trattasse di polvere seminale. Intanto cresceva a dismisura
la fama di questo giovane scienziato, che non aveva titoli di studio ma corrispondeva con i maggiori botanici italiani ed europei. Nel 1717 fondò con altri
appassionati la Società Botanica fiorentina alla quale fu affidato il"Giardino dei Semplici", nel quale vegeta ancor oggi un tasso da lui piantato. Le ricerche
scientifiche del M. sono affidate al suo capolavoro Nova plantarum genera, stampato nel 1729 dopo una via crucis di preghiere e solleciti per ottenere i
finanziamenti necessari. Riuscì ad ottenere uno "sponsor" per ognuna delle 105 tavole che compongono l'opera. Ricordiamo che nella Biblioteca del Centro Studi
dell'AMB si trova questo libro ed addirittura il manoscritto autografo! M. morì nel 1737, di ritorno da un disastroso viaggio nel Veneto, con tappa anche a Vicenza.
Giace ora in Santa Croce di Firenze, fra i Grandi d'Italia. Nel suo epitaffio sta scritto: "contento di poco, versatissimo in ogni scienza naturale, famoso ovunque
per le sue scoperte e i suoi scritti e sommamente caro a tutti i buoni della sua epoca per la sapienza, buon carattere e modestia". E il Fries testimonia: "Il M.
da solo ha apportato alla micologia un incremento maggiore che tutti gli altri scienziati presi insieme".
La scoperta delle spore
Il grande merito del M. sta nelle scoperte di biologia fungina. Anche se in parte anticipato da alcune intuizioni del De Tournefort, egli è infatti il primo a
dimostrare che anche i funghi si riproducono per seme e non per generazione spontanea. Chiarissimo in lui è il concetto di primordio, come del velo generale e dello
sviluppo dei giovani carpofori: "tutti questi funghi, avanti che facessero vedere la loro forma di fungo, stavano involti dentro un guscio o spoglia, la quale in
alcune specie di essi, col crescere che facevano, si disperdeva in alcuni in polvere, in altri in forfora, in altri in lanuggine, e finalmente in altri in piccoli
pezzetti, i quali restavano permanentemente sul cappello dei medesimi".
Dopo accuratissime indagini microscopiche si convinse che il segreto della riproduzione dei funghi stava nella faccia inferiore del cappello; qui scoprì "dei
minutissimi semolini distribuiti … con ordine regolarissimo; e … ognuno di loro stava situato sopra una base, la quale mi fece dubitando dire: chi sa che non sia
il fiore o il calice dei funghi"? Ecco scoperti basidi e spore. A lui si deve anche la scoperta dei cistidi.
Molte sono le esperienze, descritte dal M. nelle sue opere, di semina con le spore in habitat naturale e di riproduzione in laboratorio di varie specie di
Micromiceti (muffe) ed egli giustamente rivendica il vanto di avere scoperto i semi dei funghi.
Importanza micologica del Micheli
Da quanto detto finora risulta evidente che il Micheli pose alla base della sua classificazione dei funghi l'esame della parte fertile (imenio). Impossibile in
questo breve spazio riportare tutta la sistematica del nostro. Andiamo quindi per sommi capi.
Egli creò quattro grandi classi in base alla posizione dell'imenio. Interessante la seconda, nella quale inserisce i generi: Fungus, Suillus, Polyporus. e Boletus.
Fungus corrisponde all'attuale famiglia delle Agaricacee e ne descrive ben 638 specie sulle 1050 complessive della sua opera. Purtroppo utilizza come criterio il
colore delle varie parti del fungo, criterio dimostratosi poi del tutto inconsistente. Suillus comprende i funghi attualmente ascritti alle Boletacee; Polyporus
include le attuali Poliporacee terricole. Col nome Boletus definisce invece le Morchellacee. Nella terza classe pone i funghi aventi i semi alla superficie.
Notiamo il genere Clavaria e generi per la prima volta inseriti nel campo allora nuovissimo dei Micromiceti (muffe): Byssus, Botrytis, Aspergillus.
Nella quarta classe sono inseriti i funghi con i semi disposti all'interno del carpoforo. Vi troviamo ad es. i generi: Clathrus, creato dal M., corrispondente a
quello attuale; Lycogala (il liquido viscoso in esso contenuto suggerisce il nome, che letteralmente significa "latte di lupo"), Mucilago, Lycoperdon (descritto con
moderna precisione); Carpobolus (dal greco karpòs =frutto e bàllo=getto), funghetti che a maturità "lanciano" le spore; Geaster; Tuber; Cyathoides (funghetti a
forma di nido d'uccello con piccolissime "uova", oggi dette peridioli).
Le tavole dedicate ai funghi sono, nel Nova plantarum genera, 46 con 268 specie riportate, in seguito interpretate quasi tutte dal Fries. Dove manca la tavola,
l'interpretazione è difficile perché le descrizioni del M. sono troppo sintetiche. Un debole aiuto all'interpretazione delle specie micheliane è stato dato dal
ritrovamento di un residuo presso l'Orto botanico di Firenze dell'erbario del M. contenente una trentina di preziosissime "reliquie" micologiche.
CARLO LINNEO (1707 – 1778), svedese, autore del Systema naturae (1735), è considerato il massimo botanico di tutti i tempi, in quanto ordinò in maniera definitiva,
valida ancor oggi, tutti i vegetali sulla base di un principio-guida universalmente applicabile. Egli basò il suo sistema sugli elementi sessuali delle piante e per la classificazione di
un'entità vegetale inventò il sistema dicotomico, detto anche binomio, composto da un nome (genere) seguito da un appellativo (specie). Eccelso ed insuperato nella
botanica in genere, Linneo non fece fare passo alcuno alla micologia, anzi la danneggiò, secondo Fries. perché non usava il microscopio e non era in grado di
applicare ai funghi la ricerca basata sugli elementi sessuali come per le piante.
Sviluppi delle teorie sulla riproduzione dei funghi
Mentre la teoria della generazione spontanea resisteva ancora agli assalti dei metodi sperimentali, molti scienziati si davano da fare per fondare su solide basi
l'ipotesi della riproduzione sessuale. In questo contesto di studi avviene la scoperta, da parte dello HEDWIG, degli aschi, ritenuti per molto tempo l'unico ricetta
colo produttivo di spore, fino a quando, a metà dell'Ottocento, il Leveillé non scoprì i basidi. Altra questione molto dibattuta era se la riproduzione sessuale
dei funghi è come quella delle piante superiori o con caratteri diversi, soluzione questa più vicina alla realtà che oggi conosciamo.
GIOVANNI ANTONIO BATTARRA (Rimini, 1714 – 1789), sacerdote, filosofo e naturalista. Il primo approccio alla micologia di G.A. Battarra avvenne, come lui stesso ci
racconta, nell'Abbazia di Vallombrosa, dove si era recato a piedi da Rimini, studiando le splendide tavole a colori della Sylva fungorum del Padre Bruno Tozzi.
Era il 1740, e Battarra aveva 26 anni. Da questo momento la passione per la micologia non lo abbandonò più. Dopo quattro anni aveva già dipinto ad acquerello 400
tavole, divenne presto esperto nell'incisione calcografica per preparare le lastre della sua futura opera, Fungorum agri Ariminensis historia, uscita nel 1755.
Morì di infarto a 75 armi. Il suo libro è la prima opera a carattere esclusivamente monografico micologico uscita in Italia: 80 pagine con 40 tavole in calcografia
da lui stesso incise. Ad una parte introduttiva (comprendente note sull'utilizzazione dei funghi e tossicologia fungina) segue quella sistematica con la descrizione
di 248 specie.
Sulla questione della generazione dei funghi Battarra è sostenitore della riproduzione per seme, basandosi sull'autorità del Micheli.
Interessanti sono le sue note sulla commestibilità e tossicità dei funghi. Dopo aver fatto una specie di graduatoria di sicurezza (Cantarelli, Porcini ed Ovoli sono
solo al secondo posto…) si sofferma, da buon Romagnolo, sulla cottura: è spesso una sbagliata cottura che dà disturbi scambiati per intossicazioni. I funghi devono
essere ben lavati, sbollentiti, strizzati (?!) e fatti macerare nell'aceto: solo in seguito si può passare alla cottura. Di ogni fungo il B. indica la
commestibilità o la tossicità, con un solo errore, piuttosto grossolano: dà infatti come commestibile Omphalotus olearius (che egli chiama Polymyces phosphoreus
per la caratteristica fosforescenza delle lamelle, fenomeno da lui per primo segnalato).
Per quanto riguarda la sistematica, B. segue un sistema tutto suo, che tutto sommato lascia molto a desiderare per la sua empiricità. Lo stesso non può dirsi per la
descrizione delle specie, in cui B si rivela acuto indagatore e descrittore dei caratteri specifici. Anche le tavole sono precise e rappresentano un reale progresso
rispetto a quelle, pur famose, del Micheli. Giudizi molto positivi sull'opera del Battarra furono dati dal Persoon, che gli dedicò anche un genere (Battarrea) e
dal Fries, che gli riconobbe una posizione di primo piano nel Settecento.
Sviluppi delle teorie sulla generazione dei funghi
In questo periodo va segnalato il fondamentale contributo dato dall'abate LAZZARO SPALLANZANI di Scandiano (1729 – 1799), docente all'Università di Modena e di
Pavia, sulla generazione degli organismi microscopici: dimostrò in maniera inconfutabile e con esperimenti di
laboratorio l'impossibilità della "generazione spontanea". Questa ipotesi fu confermata assai più tardi, ma in modo veramente definitivo, da Luigi PASTEUR.
Per completare il quadro degli autori italiani che si occuparono di funghi, ricordiamo VITTORIO PICO, medico torinese, autore di varie dissertazioni in cui affronta
anche questioni relative alla commestibilità e tossicità dei funghi, e CARLO ALLIONE, botanico rinomatissimo ai suoi tempi, che prende in considerazione nella
sistematica il colore delle lamelle.
Ormai la micologia è riconosciuta scienza autonoma rispetto alla botanica. Se questo avviene per merito di micologi stranieri, è anche vero che ciò avviene per la
più completa conferma dei principi del Micheli sulla sistematica fungina, basata sulla posizione e sulla morfologia della parte fertile del carpoforo. E fu proprio
il grande Christian Hendrick PERSOON (1755 – 1836) a portare fino in fondo le teorie micheliane. La sua opera è basata su un minuzioso lavori di analisi e confronto
di forme e caratteri eseguito in profondità come mai era avvenuto prima. Sua opera principale è la Synopsis methodica fungorum del 1801. Per la prima volta viene
espressa la verità che il cosiddetto "fungo" non è che la parte fruttifera. Persoon suddivide i funghi in due grandi classi: Angiocarpi (con spore che maturano
all'interno del carpoforo) e Gimnocarpi (con la parte fertile all'esterno del carpoforo); descrive 71 generi e 1526 specie.
ELIAS FRIES (Femsiò, Svezia, 1794 – 1878). Grandi progressi aveva fatto la micologia agli inizi dell'Ottocento, ma grande era anche la confusione per la mancanza di
collegamento fra i micologi, l'insufficienza dei mezzi di indagine, l'assenza di una medodologia accettata e rispettata nella sistematica. Bisognava trovare un
nuovo sistema di classificazione sulla base di caratteri univoci dei funghi. Questo tentò di fare, con successo, Elias Fries, il grande Fries, unanimemente
riconosciuto come il padre ed il massimo esponente della moderna micologia, scienza alla quale dedicò tutta la sua lunga vita. La sua opera è stata la pietra
angolare dell'edificio della micologia moderna ed ha fornito le basi per formazione di generazioni di micologi, rendendo possibili gli attuali progressi di questa
scienza.
Fries fu ordinario di Botanica e Prefetto dell'Orto Botanico all'università di Uppsala. Sua opera fondamentale è il Systema mycologicum (1821 – 1832) completato da
aggiornamenti ed altre opere successive (fra queste importanti Epicrysis e Icones selectae fungorum), frutto di assidue erborizzazioni, di studio delle opere di
tutti gli autori precedenti, compresi gli antichi, di scambi con i più famosi micologi del tempo.
Descrive parecchie migliaia di funghi (l'indice alfabetico "Elenchus fungorum" del Systema mycologicum comprende oltre 10.000 voci) con brevi e precise diagnosi.
La classificazione è basata sul concetto della "filogenesi" , cioè degli stadi dello sviluppo evolutivo dei funghi, dalle forme più semplici a quelle più complesse,
tipiche dei funghi con imenio perfettamente sviluppato. Quattro sono pertanto le grandi classi di raggruppamento: Coniomiceti, Ifomiceti, Gasteromiceti e
Imenomiceti. Quest'ultima classe (funghi con superfìcie fertile, o imenio, esposta all'aperto) è suddivisa in 7 Ordini. Questa classificazione fu sovente mutata in
seguito, in base ai progressi che la micologia andava facendo, di cui il Fries onestamente teneva conto (fra questi le scoperte del Leveillé ed Hedwig che portarono
alla distinzione fra Basidiomiceti ed Ascomiceti). Intanto l'interesse del Fries si spostava esclusivamente verso i Macromiceti.
Il successo dell'opera del Fries fu immenso, tanto che le sue denominazioni furono adottate dal Congresso botanico internazionale di Bruxelles (1910) come base della
nomenclatura micologica moderna.
Anche oggi il sistema micologico friesiano, pur se basato esclusivamente su caratteri morfologici macroscopici, continua ad essere aiuto indispensabile per chi si
accinge allo studio dei funghi superiori. Lo stesso Giacomo Bresadola si mantenne sostanzialmente fedele alla sistematica del Fries.
DOMENICO VIVIANI (1772 – 1840) merita un breve commento come autore di un significativo lavoro micologico. Nato in Liguria, laureato in medicina ma più interessato
alla botanica, dopo un periodo piuttosto travagliato divenne docente di Botanica all'Università di Genova, dove fondò l'Orto Botanico. Pubblicò varie opere di
botanica, illustrate con ottime tavole. Sanissimo fino al 50c anno, fu poi travagliato da numerose malattie, anche le sue facoltà mentali furono gravemente
compromesse e morì a 68 anni in uno stato di inedia e consunzione. La sua opera micologica più importante è I funghi d'Italia (Genova, 1834). un volume in-folio
con 60 tavole (delle 105 che aveva approntato), che rappresentano 72 specie di funghi. Quasi tutte le specie sono corredate di un ricco testo esplicativo con
diagnosi in latino, descrizioni, bibliografia, notizie sulla commestibilità ecc. Le sue tavole, colorate a mano, sono fra le più belle dell'iconografia micologica
italiana. Il valore di quest'opera è dato dal fatto che le
tavole sono ricavate dal vero, non ricopiate da opere straniere, dall'abbondanza delle notizie e dalla base di ricerca, estesa a gran parte del territorio italiano.
In Lombardia il periodo coincidente con la dominazione austriaca è caratterizzato dall'attenzione utilitaria alla micologia, che diventa oggetto di interventi
delle Autorità pubbliche sotto l'aspetto economico e sanitario. Si trattava di disposizioni atte a prevenire gli avvelenamenti da funghi, purtroppo molto frequenti,
mediante una regolamentazione della loro vendita al pubblico. L'incarico di studiare la regolamentazione adatta era affidato alle università di Pavia e Padova e
successivamente le "Congregazioni municipali" emettevano i loro Avvisi o Bandi. In essi venivano date disposizioni sui punti vendita e sulle specie ammesse.
Interessanti e significativi sono, per la loro precisa e valida attualità, gli emendamenti che il micologo bassanese Giovanni Larber proponeva nel 1829 per questi
regolamenti: concedere la licenza di vendita solo previo esame ai venditori; obbligare i medici a denunciare tutti i casi, anche lievi, di avvelenamento; rendere
responsabili osti e ristoratori delle eventuali intossicazioni avvenute nei loro esercizi.
Interessanti in questo periodo i primi esperimenti di coltivazione dei funghi, che si possono considerare, anche se erano empirici ed approssimativi, un tentativo
di risolvere il problema, evidentemente molto esteso, delle intossicazioni. Sappiamo che Antonio PEREGO, professore di scienze al liceo di Brescia, ottenne il
Pleurotus ostreatus da substrato di spremitura delle bacche di alloro. Paolo BARBIERI, custode botanico dell'Orto botanico del liceo di Mantova ottenne la Volvaria
bombycina da mistura di foglie di Vallonea insieme con paglia, terriccio e letame equino. In Liguria il marchese LASCARIS coltivò con successo Psalliota hortensis
con residui di torchiatura dell'olio.
CARLO VITTADINI (1800 – 1865) nacque a Monticelli, frazione di S. Donato Milanese da modesti agricoltori, studiò prima a Milano e poi all'Università di Pavia, dove
si laureò in medicina. Fu allievo e poi assistente del prof. Moretti. La sua tesi di laurea, ispirata alle connessioni fra medicina e micologia, si intitola: Tentamen mycologicum seu Amanitarum illustratio (Saggio micologico, ossia Illustrazione delle Amanite). In essa, dopo una parte generale ed una di micotossicologia, descrive 14 specie di Amanita da lui ritrovate. Fra queste la già citata Amanita vittadinii Moretti, che egli descrive solitaria, amante delle zone umide, di sospetta commestibilità ed accompagna con una superba tavola in bianco e nero. Egli insegna la via esatta per sviscerare i i veri caratteri differenziali di una specie e delle specie consimili attraverso una rigorosa analisi morfologica.
Si dedicò poi con tutte le sue forze, aderendo all'invito del Fries rivolto ai micologi italiani, allo studio delle Tuberacee. Frutto delle sue ricerche fu la
Monographìa Tuberacearum edita da Rusconi a Milano nel 1831, corredata di cinque tavole a colori da lui disegnate ed incise, in cui descrive 65 specie, di cui ben
51 completamente nuove. In tutto tratta 10 generi nuovi o rivisti. Con quest'opera era detta veramente una parola nuova in un campo della micologia rimasto fino
allora misconosciuto.
Scaduto l'incarico di assistente, "dovette" dedicarsi alla professione medica, che esercitò a Milano. Qui si fece sentire nei confronti di tante opere approssimative
e perfino pericolose sulla commestibilità dei funghi pubblicando nel 1835 Descrizione dei funghi mangerecci più comuni d'Italia. Vi descrive 56 specie, di cui 15
nuove, sotto tutti gli aspetti: morfologici, biologici, ecologici, gastronomici e tossicologici. Accompagnano l'opera 44 bellissime tavole incise su rame e da lui
stesso colorate. Importante l'aspetto tossicologico della trattazione, basata su osservazioni personali, esperimenti con animali e su se stesso. Da notare che il
Vittadini fu il primo a riconoscere l'assoluta innocuità di Amanita citrina.
Nel 1841 vinse un concorso dell'Accademia delle Scienze di Torino con Monographia Lycoperdineorum. Bello e significativo il motto con cui presenta il suo lavoro:
Melius est notas exsactius definire species, quam novas plerumque incertas proponere (E' meglio definire più esattamente le specie note, piuttosto che proporne delle
nuove per lo più incerte). Mettendo ordine nel caos che regnava in questo gruppo di funghi, vi descrive 50 specie, di cui 23 nuove, molte delle quali ancora valide.
Nel 1844, su invito del Governo, preoccupato dei numerosi casi di avvelenamento, scrisse un Trattato sui funghi mangerecci più conosciuti e paragoni con quelli
velenosi con cui possono essere confusi.
Nel frattempo la sua salute era divenuta molto cagionevole e Vittadini non fu più in grado di stare al passo con gli enormi progressi che lo studio degli Ipogei
ebbe in Europa, soprattutto ad opera di TULASNE (Fungi ypogaei, 1851), che potè, grazie alla recente scoperta dei basidi (Leveillé e Berkeley), distingue gli Ipogei
Basidiomiceti da quelli Ascomiceti, migliorando notevolmente la sistematica. Infatti portò le specie a ben 124 con 25 generi.
Vittadini si occupò anche di Micromiceti, in particolare con lavori sul "mal del calcino", che procurava gravissimi danni agli allevamenti dei bachi da seta.
Morì di tisi il 20 novembre 1895.
Nel 2000, proclamato "Anno Vittadiniano" nel duecentesimo anno dalla nascita, Vittadini è stato adeguatamente celebrato con una serie di iniziative, promosse fra
l'altro dall'AMB e dalla Federazione Micologica Lombarda: convegno il 29 gennaio a Milano, Comitato Scientifico AMB a Triuggio (MI) in maggio, in giugno mostra
delle sue tavole originali a S. Donato Milanese, un libro sta uscendo a cura della provincia di Pavia.
"Testo parzialmente tratto dal sito Ambbresadola.it"